HANOVER HOUSE di Brenda Novak
428 pagine | €18.47 cartaceo
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È trascorso ormai un anno da quando Evelyn Talbot si è trasferita in Alaska, ad Hanover House, la clinica psichiatrica di massima sicurezza dove vengono internati i serial killer più efferati. Solo pochi di loro hanno una mente così brillante da riuscire a spiegare il complesso modus operandi che si cela dietro ai propri crimini, e uno di questi è appena arrivato. Si tratta di Lyman Bishop, il "Fabbricante di Zombi", un genetista accusato di lobotomizzare le sue vittime con un rompighiaccio. L'unico il cui raffinato intelletto regge il confronto con il famigerato Hannibal Lecter. Appena Evelyn lo incontra sente il sangue gelarsi nelle vene, e non è certo per la tempesta di ghiaccio che sta per abbattersi sulla zona. Ha la netta sensazione che qualcosa nella sua vita stia per cambiare, irreparabilmente. Quando viene ritrovato il corpo di una nuova vittima uccisa con un rompighiaccio, il dubbio che Bishop sia l'uomo sbagliato emerge con violenza. Ma le sfide non sono finite per Evelyn, perché la minaccia di Jasper, il ragazzo che a sedici anni l'ha segregata e seviziata, sembra più vicina che mai. Esiste un legame tra questi eventi? È solo un caso che la donna massacrata assomigli terribilmente alla bella psichiatra? Per Evelyn e l'uomo che ama, il tenace commissario Amarok, la caccia è di nuovo aperta.
Mi ritrovo ancora una volta ad essere una voce fuori dal coro e in questo caso, mi duole ammetterlo, la delusione vale doppio. Credo di non aver mai impiegato la bellezza di dieci giorni per terminare un thriller, ma con Hanover House di Brenda Novak la spinta adrenalinica che solitamente mi accompagna non è mai arrivata e, anzi, è stata ampiamente sostituita da una noia abissale che decisamente male si accoppia con il genere in questione. Noia, ci tengo a sottolineare. Assurdo, non trovate?
Ebbene mi sono imbattuta in varie recensioni e nella maggior parte si lodava l'impatto emotivo e psicologico che la Novak era riuscita a rinnovare (addirittura a migliorare) in questo secondo capitolo. Peccato non averne trovato praticamente traccia. Mi sono lasciata convincere dall'entusiasmo che mi portavo dietro dalla lettura di Alaska. Un romanzo che effettivamente ho divorato in pochissime ore. Una lettura che, ricordo, sapeva tenere alta l'attenzione del lettore così come giocare con quel mix imprescindibile che si viene quasi naturalmente a creare tra inquietudine ed incertezza, pathos ed emotività. E la domanda qui sorge spontanea: che fine ha fatto tutto questo?
Non so risolvere questo arcano mistero, ma posso dirvi che leggere Hanover House è stato tutt'altro che emozionante, partecipativo o d'impatto. La Novak ripropone essenzialmente gli stessi elementi già riscontrati nel primo episodio, inserendo un personaggio nuovo che avrebbe potuto dare una scossa all'intera narrazione, ma che gioca un ruolo a tratti raccapricciante fine a sè stesso. La protagonista, Evelyn, continua ad essere bloccata in quel passato impossibile da dimenticare, condannata ad una vera e propria ossessione nella ricerca di Jasper che, se da un lato avrebbe potuto accrescere l'intensità narrativa, dall'altro rischia di sfociare in una polverosa ripetitività assolutamente non necessaria. Jasper, il cattivo della situazione, d'altro canto, non riesce a far breccia nella mente del lettore, nemmeno di uno - come la sottoscritta - da sempre incline a trovare più affascinante il mostro rispetto all'eroe. Qui, in effetti, manca di profondità psicologica e di quella particolare attenzione al dettaglio che avrebbe potuto fare la differenza. Non mi è ancora chiaro l'intento della scrittrice o il fine perseguito in questo secondo capitolo, quale fosse la direzione presa da un approccio narrativo che ho riscontrato decisamente claudicante sotto vari punti di vista.
Certo è che lo stile tipicamente narrativo della Novak rimane degno di nota, grazie ad un approccio lineare, quasi cinematografico, capace di esprimersi non solo attraverso parole, ma anche per mezzo di immagini vivide e tangibili. Una scrittura che avevo promosso a pieni voti nel primo capitolo e che, nel successivo, si rende capace (e comunque non oltre la sufficienza) di catturare l'attenzione di chi si avvicina per la prima volta al genere in questione, ma con qualche difficoltà - almeno a mio parere - riuscirà a rendersi credibile di fronte ad un lettore maturo e di esperienza nel genere trattato.
Per concludere, in tutta onestà, devo farvi una confessione: sono arrivata alla fine di questo romanzo unicamente spinta dal dovere nei miei e vostri confronti nel parlarvi in questo spazio della mia ultima lettura, altrimenti, da semplice lettrice, svestiti i panni della blogger, con altissima e quasi certa probabilità, avrei abbandonato Hanover House non più tardi delle duecento pagine. Quindi, se siete incerti sul da farsi, anche dopo tutto quello che avete letto, fate i bravi ed ascoltatemi, passate oltre, perchè di libri belli ne è pieno il mondo, soprattutto di thriller.
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